Ottanio. Bill & The City - W. Magruder, sguardo 1
#possibiliscenari
Metti uno spaccato di zona gialla in un inverno di sfumature rosse e buio culturale in città. Metti i programmi dell’ultimo minuto e la leggerezza di un ”Ah, sì, perché no?”. Metti la gioia per uno spiraglio di speranza di rinnovate socialità e esperienze reali.
Ed eccomi alla galleria Manifiesto Blanco per l’apertura della mostra Bill & The City di William Magruder, architetto americano trapiantato a Milano. Ed eccomi a osservare un quadretto su un pezzo di cartone e a incontrare la possibilità di una storia. A scorgere più storie con colori di emozioni diversissime, a scriverle in toni diversissimi.
E, allora, eccomi qui con il primo sguardo: altri ne seguiranno. In generale, sempre stay hungry, stay foolish, ma in questo caso soprattutto…stay tuned.
Ottanio
La strada, là fuori. Mi guarda. Deserta, arroventata dal sole. Sfrontata, sta sempre lì. Sempre, ogni santo giorno. A sbattermi in faccia che c'è una strada, che le persone percorrono strade, che dietro l'angolo c'è un chissà. Per me no. Io sono rinchiuso qui. Per il mio bene, dicono. Perché nessuno capirebbe. La gente è maligna. Dicono.
Ho fatto dipingere le persiane di blu. Ottanio, per la precisione: proprio così ho detto loro, “ottanio”. Un lavoro ben eseguito, devo ammetterlo. Non avrei saputo fare di meglio. È il colore giusto, quel blu stravolto dall'inchiostro della notte, un blu che non ha il coraggio di dichiararsi verde, un'ambiguità che ammalia minacciosa. È il colore adatto alle mie persiane, il colore giusto per i giorni di pioggia. E infatti. Come una beffa, qui non piove mai. Mai. È tutto secco: aria secca, muretti a secco, colori di terra secca. Nemmeno il clima mi comprende, dimostrandomi sempre, ogni santo giorno, che questo mondo non mi vuole.
“Ottanio”, ho detto loro. “Come me”, ho pensato. L'autorevolezza che si confà alla mia nobiltà non ha lasciato spazio a repliche e i servi, con un inchino deferente, si sono allontanati retrocedendo a piccoli passi, lo sguardo basso. Credono che non lo sappia? Che non me ne accorga? Ogni volta. Il loro disgusto. I loro occhi che guardano a terra, in un ipocrita rispetto dell'etichetta. Il respiro trattenuto, le mani convulsamente contratte sotto i candidi guanti della livrea inamidata. Io lo vedo. L'affettata compostezza, studiata ad arte dai signori genitori, è un insulto continuo che mi brucia la pelle. Io lo so. Loro, sotto le palpebre, non sanno dove guardare. Per primi fuggono gli occhi. Poi, con malcelata indifferenza, fuggono i piedi, in quell'accelerazione verso la porta che si richiude con sollievo alle loro spalle. La porta che, a me, si chiude in faccia. Come una sentenza.
La gente è maligna. Nessuno capirebbe. Forse hanno ragione. Senza dubbio hanno ragione. Un lavoro ben eseguito, devo ammetterlo. Le mie persiane dipinte solo all'interno. L'apparenza del villaggio, ocra e perfetto, è salva. Gli occhi della gente, indifferenti e indisturbati. La finestra il mio confine, ottanio la mia esistenza.


